Delicatezza

Corro veloce fra le strade sterrate e solitarie di campagna. Corro come una freccia e vengo assalita da un nuvolo di insetti. Proiezione dei miei pensieri? Quel nuvolo di insetti rispecchia la nube vorticosa e fastidiosa di ciò che affolla la mia mente? Continuo a correre provando a far scivolare via libero ogni pensiero. Niente. Mi fa male la milza. Rallento. Cammino. Gli insetti rallentano. Diminuiscono, spariscono. Riprendo a correre e comprendo.
No, non era una proiezione dei miei pensieri. Sono entrata come una freccia in uno spazio in cui prima non c’ero. Con irruenza sono arrivata a rompere un equilibrio e ho innescato una reazione da parte di quello spazio invaso. Un po’ come quando incontri un cane o un gatto, se gli vai incontro con zelo quello o si impaurisce e scappa o si mostra aggressivo. Ma se lasci che ti osservi, ti annusi, ti conosca e ti riconosca come essere vivente allora non c’è più barriera e sei riconosciuto come facente parte di quello stesso spazio. Così quella nube di insetti avendo la possibilità di sentirmi e conoscermi, mi ha lasciato passare per quello spazio che è divenuto condiviso.

E rifletto a quante volte nelle nostre relazioni facciamo proprio questo. Mi ricordo da ragazzina quando i rapporti cominciavano a farsi più profondi ed emozioni e sentimenti cominciavano timidamente a diventare argomento di dialogo…..io parlavo alle persone esprimendo quello che secondo me stavano vivendo e perché. Cercavo di scandagliare il loro sommerso, il loro inconscio… Al di là del fatto che ero una ragazzina un po’ flippata sul cercare di andare oltre quello che vedevo degli altri, ciò che vedevo non lo tenevo per me, lo assumevo come verità e la riportavo all’altro. Quello che percepivo e sentivo era per me realtà e mi autorizzavo a dirla senza preoccuparmi di cosa stesse vivendo quella persona e se fosse disponibile a sentire certe parole che io spacciavo per verità.
Ecco, quante persone ho bruciato! Quante persone ho fatto allontanare, quante anche ho avvicinato! Ma in un rapporto asimmetrico. Io che capivo l’altro, io che vedevo quello che l’altro non percepiva, io che frugavo e scandagliavo laddove l’altro non aveva neanche messo il naso per poi uscire tutta entusiasta e consegnare patate bollenti a chi mi capitava a tiro. Certo, le cose si fanno in due, c’era chi davanti a sta roba non sapeva che farsene e quindi scappava, c’era chi divertito pensava di aver trovato un dizionario o un interprete. Risultato: giocavo un ruolo di potere in cui “io capivo e sapevo” e l’altro era subordinato a quello che io comprendevo e vedevo.

Vedendo i risultati, ovviamente deludenti, nelle relazioni passai all’opposto. “Allora ora non dico più nulla!”….a giocare il ruolo pieno della vittima. Fortuna che sotto sotto qualcosa di più forte si muoveva. Non potevo rinnegare la passione per guardare dentro gli altri, ma cominciai a farlo, meglio, su di me e seguii tutti quei percorsi di formazione che hanno permesso alla mia passione di prendere una forma. Al di là dell’importanza di guardare dentro di me e di acquisire sempre strumenti e punti di vista nuovi, senza mai sentirmi arrivata, ho imparato a rendermi conto che ogni “sensazione”, “intuizione”, “idea” che mi faccio dell’altro passa sempre dalla mia percezione e questo è una delle cose che distingue un “anche io sono un po’ psicologo” dall’esserlo davvero. Ho imparato che posso anche sentire certe cose dell’altro e che per prima cosa posso sentire dove risuonano in me, poi posso aiutare e sostenere chi ho davanti a intraprendere quella scoperta e conoscenza di sé che farà in modo che sia proprio l’altro a dare un nome alle cose. A volte sarà lo stesso, a volte sarà differente e in ogni caso sarà prezioso.

Ma quello che quegli insetti oggi mi hanno ricordato è con quanta delicatezza dovremo entrare nelle vite gli uni degli altri e quanto invece siamo abituati a continue invasioni. E anche le aspettative che ci facciamo su come gli altri dovrebbero porsi con noi sono invasioni esse stesse. A volte entriamo come frecce scoccate nelle vite altrui e pensiamo di capirli e intuirli in poco tempo. E richiediamo più o meno consapevolmente la stessa cosa all’altro. Che entri nel nostro spazio, capisca, comprenda, ma esattamente come vorremo e come intendiamo noi. Ma allo stesso tempo vogliamo comprensione profonda e un contatto vero e sottile. Che confusione!

DELICATEZZA:  non ne siamo abituati, non sappiamo neanche cosa sia. Crediamo che le cose delicate siano fragili e imperiture.
 Non ci rendiamo conto di quanto la delicatezza smussi gli angoli, lavori ai lati, addolcisca l’amarezza e spogli del superfluo.
 Non sappiamo riconoscerla perché facciamo una grande confusione e la delicatezza è silenziosa.
Non sappiamo riconoscerla perché la delicatezza si muove quando tutto sembra fermo.
La scambiamo per debolezza, per una fragilità che viene spesso demonizzata.

Delicatezza è autenticità.
È lasciare che un’azione nasca dal cuore ed entri in punta di piedi nello spazio dell’altro.
È ascoltare e sentire quell’incontro, consapevoli di essere dentro la propria percezione.
È farsi ascoltare e sentire per poter condividere lo spazio.
La delicatezza fa respirare.
Fa rima con gentilezza, bellezza, consapevolezza.

La delicatezza ti costringe ad accorgerti di lei passo dopo passo, ti costringe a stare, a sentire, a divenire autentico, aperto.
La delicatezza è un’arte.
La delicatezza occupa lo spazio che tu e l’altro le lasciate abitare.